Effata! Bollettino parrocchiale
Clicca sull'immagine dell'Effata della settimana per scaricare il bollettino parrocchiale in formato PDF
Ricevi la nostra newsletter - Iscriviti
N° 155 - XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
Il modo giusto di servire umilia chi agisce. Non assume una posizione di superiorità sugli altri, anche se la situazione di questi ultimi può essere miserabile in quel momento. Cristo ha preso il posto più basso del mondo – la croce – e, proprio attraverso questa umiltà radicale, ci ha redenti e ci aiuta costantemente. Chi può aiutare riconosce che è proprio in questo modo che anche lui viene aiutato. Poter aiutare non è un suo merito né un motivo di orgoglio. Questo compito è una grazia.
Quanto più una persona lavora per gli altri, tanto più comprenderà e farà proprie le parole di Cristo: "Siamo servi comuni". Riconosce, infatti, di agire non per superiorità o per una maggiore efficacia personale, ma perché il Signore ha fatto loro questo dono. A volte, l'aumento dei bisogni e i limiti delle proprie azioni possono esporla alla tentazione dello scoraggiamento. Ma è proprio allora che la consapevolezza di essere, in ultima analisi, solo uno strumento nelle mani del Signore la aiuterà; si libererà così dalla pretesa di dover realizzare, personalmente e da sola, il necessario miglioramento del mondo.
Umilmente, farà ciò che può e umilmente affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Gli offriamo solo i nostri servizi, per quanto possiamo e finché Lui ce ne dà la forza. Tuttavia, fare ciò che possiamo, con le forze a nostra disposizione, è il compito che mantiene il buon servitore di Gesù Cristo sempre in movimento: "L'amore del Cristo ci spinge" (2 Cor 5,14).
Enciclica “Deus caritas est”, § 35 (trad. © copyright Libreria Editrice Vaticana)
N° 154 - XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
Il modo giusto di servire umilia chi agisce. Non assume una posizione di superiorità sugli altri, anche se la situazione di questi ultimi può essere miserabile in quel momento. Cristo ha preso il posto più basso del mondo – la croce – e, proprio attraverso questa umiltà radicale, ci ha redenti e ci aiuta costantemente. Chi può aiutare riconosce che è proprio in questo modo che anche lui viene aiutato. Poter aiutare non è un suo merito né un motivo di orgoglio. Questo compito è una grazia.
Quanto più una persona lavora per gli altri, tanto più comprenderà e farà proprie le parole di Cristo: "Siamo servi comuni". Riconosce, infatti, di agire non per superiorità o per una maggiore efficacia personale, ma perché il Signore ha fatto loro questo dono. A volte, l'aumento dei bisogni e i limiti delle proprie azioni possono esporla alla tentazione dello scoraggiamento. Ma è proprio allora che la consapevolezza di essere, in ultima analisi, solo uno strumento nelle mani del Signore la aiuterà; si libererà così dalla pretesa di dover realizzare, personalmente e da sola, il necessario miglioramento del mondo.
Umilmente, farà ciò che può e umilmente affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Gli offriamo solo i nostri servizi, per quanto possiamo e finché Lui ce ne dà la forza. Tuttavia, fare ciò che possiamo, con le forze a nostra disposizione, è il compito che mantiene il buon servitore di Gesù Cristo sempre in movimento: "L'amore del Cristo ci spinge" (2 Cor 5,14).
Enciclica “Deus caritas est”, § 35 (trad. © copyright Libreria Editrice Vaticana)
N° 153 - XXV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
Attraverso la tua natura creatrice fu costruita una casa per l'essere pensante; il primo uomo fu fatto amministratore di questa casa terrena quaggiù. E i suoi discendenti che vennero all'esistenza ricevono da te vari incarichi: alcuni per le più gloriose opere corporali, e altri per distribuire i beni spirituali. (…)
Hai anche posto come fedele amministratore del corpo e dell'anima, lo spirito incorporeo per dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno con cura, secondo il suo rango: nutrendo l'anima con la Parola e curando il corpo con sobrietà; e tra i due, agendo come arbitro, mantiene il loro rango nella rettitudine.
Il corpo deve essere classificato come un servitore secondo il tuo ordine di creazione, e l'anima, come una principessa sovrana, secondo l'immagine del tuo Archetipo.
Ma io, infedele a entrambi, alla mia anima e a quella degli altri, sono diventato come l'amministratore infedele, che è il tipo della mia codardia.
Questo perché, alla fine della mia vita quaggiù, non posso né fare del bene né mendicare da coloro che lo possiedono, perché mi vergogno perché non me lo danno.
Ma Tu, liberale in ogni cosa, dona pentimento alla mia anima impenitente, affinché ritorni a Te completamente, prima che io sia chiamato al Tribunale, per il giudizio dei miei peccati; perdonarmi almeno una parte del debito: alla mia anima, le cinquanta misure d'olio, al mio corpo, le venti misure di grano.
Concedimi, inoltre, la grazia, come l'amministratore, di essere degno della Tua lode; sebbene io sia figlio del mondo, dammi la saggezza di convertirmi dal peccato!
San Nerses Snorhali (1102-1173) - Patriarca Armeno
Seconda parte, § 605-623; SC 20 (Gesù, Figlio Unigenito del Padre, trad. I. Kéchichian, ed. du Cerf, 1973; pp. 158-161)
N° 152 - LA CROCE GLORIOSA - Anno C
Non solo non dobbiamo vergognarci della morte del nostro Signore Dio, ma dovremmo trarne la massima fiducia e orgoglio. Ricevendo da noi la morte che ha trovato in noi, ha promesso con la massima fedeltà di donarci in lui la vita che non avremmo potuto avere da soli. E se Colui che è senza peccato ci ha amati così tanto da soffrire per noi peccatori ciò che meritavamo nel nostro peccato, come non ci darà la giustizia, lui che ci giustifica? Come non ci darà la ricompensa, lui che è fedele alle sue promesse e che ha sopportato la pena per i colpevoli? Riconosciamo senza tremore, fratelli miei, e proclamiamo che Cristo è stato crocifisso per noi. Diciamolo senza timore e con gioia, senza vergogna e con orgoglio. L'apostolo Paolo lo vide, lui che ne fece un titolo di gloria. Dopo aver ricordato le grandi grazie ricevute da Cristo, non dice di gloriarsi di queste meraviglie, ma afferma: «Quanto a me, Dio non voglia che io mi vanti in altro che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14).
Sant'Agostino (354-430)
Vescovo di Ippona (Africa settentrionale) e Dottore della Chiesa
Trattato sulla Passione del Signore, 1-2: PLS 2, 545-546 (in Letture cristiane per il nostro tempo, foglio F17; trad. Orval; © 1971 Abbazia di Orval)
N° 151 - XXIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
Proclamiamo con gioia e orgoglio che Cristo è stato crocifisso per noi!
Non solo non dobbiamo vergognarci della morte del nostro Signore Dio, ma dovremmo trarne la massima fiducia e il massimo orgoglio.
Ricevendo da noi la morte che ha trovato in noi, ha promesso con la massima fedeltà di donarci in lui la vita che non avremmo potuto avere da soli.
E se colui che è senza peccato ci ha amati così tanto da soffrire per noi peccatori ciò che avremmo meritato con il nostro peccato, come non ci darà ciò che è giustizia, lui che ci giustifica?
Come non darà ai giusti la loro ricompensa, lui che è fedele alle sue promesse e che ha sofferto la pena per i colpevoli?
Riconosciamo senza tremore, fratelli miei, e proclamiamo che Cristo è stato crocifisso per noi.
Diciamolo senza timore e con gioia, senza vergogna e con orgoglio.
L'apostolo Paolo lo vide, lui che ne fece un titolo di gloria. Dopo aver ricordato le grandi grazie ricevute da Cristo, non dice di gloriarsi di queste meraviglie, ma afferma: «Quanto a me, Dio non voglia che io mi vanti in altro che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14).
Sant'Agostino (354-430)
Vescovo di Ippona (Africa settentrionale) e Dottore della Chiesa
Trattato sulla Passione del Signore, 1-2: PLS 2, 545-546 (in Letture cristiane per il nostro tempo, foglio F17; trad. Orval; © 1971 Abbazia di Orval)
N° 150 - XXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
"Dio ha preso una posizione così bassa che nessuno potrebbe essere inferiore a Lui."
L'Incarnazione ha la sua sorgente nella bontà di Dio... Ma una cosa appare per prima, così meravigliosa, così scintillante, così stupefacente, che risplende come un segno abbagliante: è l'infinita umiltà contenuta in un tale mistero... Dio, l'Essere, l'Infinito, il Perfetto, il Creatore, l'Onnipotente, immenso, sovrano Padrone di tutto, che si fa uomo, si unisce a un'anima e a un corpo umani, e appare sulla terra come un uomo e l'ultimo degli uomini... E la stima del mondo, che cos'è? Era giusto che Dio la cercasse? Vedendo il mondo dall'alto della divinità, tutto è uguale ai suoi occhi: il grande, il piccolo, tutto è ugualmente formica, lombrico... Disdegnando tutte queste false grandezze che sono, in verità, una meschinità così estrema, Dio non ha voluto rivestirsene... E poiché è venuto sulla terra sia per redimerci che per istruirci, e per farsi conoscere e amare, ha voluto darci, dal suo ingresso in questo mondo e per tutta la sua vita, questa lezione di disprezzo per la grandezza umana, di distacco completo dalla stima degli uomini... È nato, ha vissuto, è morto nella più profonda abiezione e nell'ultimo obbrobrio, avendo preso una volta per tutte l'ultimo posto, tanto che nessuno potrebbe mai essere più basso di Lui... E se si è occupato con tanta costanza, con tanta cura, di quest'ultimo posto, è per istruirci, per insegnarci che gli uomini e la stima degli uomini non sono nulla, non valgono nulla; (…) è per insegnarci che, non essendo la nostra conversazione di questo mondo, non dobbiamo tener conto della figura di questo mondo…, ma vivere solo per questo regno dei cieli che l’Uomo-Dio vide anche quaggiù mediante la visione beatifica, e che dobbiamo considerare costantemente con gli occhi della fede, camminando in questo mondo come se non fossimo di questo mondo, senza preoccupazione per le cose esterne, occupandoci di una sola cosa: guardare, amare il nostro Padre Celeste e fare la sua volontà…
San Charles de Foucauld (1858-1916)
eremita e missionario nel Sahara.
Ritiro a Nazareth (Scritti spirituali di Charles de Foucauld, eremita nel Sahara, apostolo dei Tuareg; Ed. J. de Gigord, 1964; pp. 54-55)
N° 149 - XXI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
«Sforzatevi di entrare per la porta stretta» (Lc 13,24)
Non possiamo avere nulla di stabile in un mondo in cui siamo venuti solo per passare, e per noi vivere significa abbandonare la vita e passare ogni giorno. (…)
Questa mutevolezza, l'uomo non la subisce solo nel corpo, ma anche nell'anima, quando si sforza di elevarsi verso il meglio.
Perché sotto il peso della sua mutevolezza, l'anima è costantemente spinta verso qualcosa di diverso da ciò che è, e se non è mantenuta nel suo stato iniziale dalla rigida disciplina della vigilanza, scivola costantemente verso il peggio.
Perché, abbandonando colui che rimane costantemente, ha perso la stabilità che avrebbe potuto conservare.
Così ora il suo sforzo verso il meglio è solo un'ascesa controcorrente.
E se si rilassa nel suo proposito di elevarsi, ecco che viene riportata senza sforzo nelle profondità.
Sì, salire è fatica e scendere rilassamento, ed è attraverso la porta stretta che entreremo, ci ricorda il Signore: "Fate ogni sforzo", dice, "per entrare attraverso la porta stretta". (Lc 13,24)
Nel momento in cui sta per parlare di entrare per la porta stretta, dice prima: «Sforzatevi», perché senza la fervente lotta dello spirito, il diluvio di questo mondo è invincibile, riportando continuamente l'anima alla bassezza.
San Gregorio Magno (c. 540-604)
Papa e Dottore della Chiesa
Libro XI, SC 212 (Morale su Giobbe, trad. A. Bocognano, ed. du Cerf, 1974; pp. 139-141, rev.)
N° 148 - XX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
"Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e quanto vorrei che fosse già acceso!" Luca 12:9
Nostro Signore Gesù Cristo vive sulla terra nelle anime e cresce in esse secondo le operazioni della sua grazia, come fece un tempo nella sua infanzia conversando con sua Madre, e continua la sua vita interiore in noi quando siamo soli con lui. Ciò che ha iniziato in se stesso, lo continua nella sua Chiesa, affinché la vita divina che le comunica e che è così gloriosa per Dio suo Padre, non abbia mai fine nell'eternità. Egli desidera che tutta la terra sia piena di fuoco, e lo ha mandato quaggiù solo perché divori il mondo (cfr Lc 12,49). (…)
Non c'è nulla di più dolce, né dà più riposo e consolazione all'anima, che essere rapiti fuori di sé da Gesù Cristo e dal suo divino Spirito, che non ha bisogno per questo del carro di fuoco di Elia (cfr 2 Re 2,11); ma che, con la sua sola potenza, ci solleva dalla terra al cielo e dalle profondità di noi stessi ci trasporta nel seno di Dio. Sarei infedele a Gesù se non sollecitassi costantemente la tua anima per impedirle di riposare un solo istante su se stessa. Jean-Jacques Olier (1608-1657) - fondatore dei Sulpiziani Letture spirituali, 44 (in Letture cristiane per il nostro tempo, fascicolo W58;
trad . Orval; © 1973 Abbazia di Orval)
N° 147 - XIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
«Benedetta tu fra le donne» (Lc 1,42)
Chi celebrerà degnamente le lodi della sua santissima Assunzione?
Chi può raccontare con quale felicità lasciò il corpo, con quale felicità vide il Figlio, con quale gioia avanzò verso il Signore, circondata dai cori degli angeli, portata dall'ardente zelo degli apostoli, mentre contemplava il Re nella sua bellezza e vedeva il suo bambino attenderlo nella gloria, libera da ogni dolore come lei era stata libera da ogni macchia?
Lasciò la dimora del corpo per abitare eternamente con Cristo. Passò alla visione di Dio, e la sua anima beata, più luminosa del sole, più alta dei cieli, più nobile degli angeli, la esalò al Signore. (...)
Non è forse questa la vita, quando si va alla fonte della vita? e dalla vita si attinge la vita eterna in un flusso incessante? Prima della sua partenza, la Vergine Madre aveva già bevuto a questa fonte inesauribile affinché, nel suo stesso passaggio, non fosse toccata dal sapore della morte, nemmeno minimamente. Perciò, uscendo, vide la vita, così bene da non vedere la morte. Vide suo Figlio, così bene da non soffrire la separazione dalla carne. Così, precipitandosi, liberata, in una visione così beata e dissetandosi al volto, così desiderato, di Dio, trovò i venerabili abitanti del cielo pronti a servirla e guidarla.
Sant'Amedeo di Losanna (1108-1159) - monaco cistercense, poi vescovo
Omelia mariana VII, SC 72 (Otto omelie mariane, trad. Dom A. Dumas, Ed. du Cerf, Parigi 1960, pp. 197-199, rev.)